LUCE in un'OPERA POETICA
LA LUCE
Non rifugiarti nell'ombra
di quel folto di verzura
come il falchetto che strapiomba
fulmineo nella caldura.
È ora di lasciare il canneto
stento che pare s'addorma
e di guardare le form
della vita che si sgretola.
Ci muoviamo in un pulviscolo
madreperlaceo che vibra,
in un barbaglio che invischia
gli occhi e un poco ci sfibra.
Pure, lo senti, nel gioco d'aride onde
che impigra in quest'ora di disagio
non buttiamo già in un gorgo senza fondo
le nostre vite randage.
Come quella chiostra di rupi
che sembra sfilaccicarsi
in ragnatele di nubi;
tali i nostri animi arsi
in cui l'illusione brucia
un fuoco pieno di cenere
si perdono nel sereno
di una certezza: la luce.
EUGENIO MONTALE, Ossi di seppia 1925.
Attraverso l’immagine di un pomeriggio estivo, afoso, assolato, caratterizzato da un pulviscolo, che
quasi limita la vista, Montale rivolge un’esortazione all’uomo e a sé stesso,
riflettendo così sulla necessità di non sprecare la vita. Un’ umanità dolente,
spesso accomunata nel “ dolore di vivere, ha scelto l’ombra come un posto
sicuro dove condurre la propria esistenza, dominata dalla paura e dall’angoscia.
Il poeta comprende appieno questa
condizione, quella che accomuna le “ vite randage”, ma sente che esiste
qualcosa che è degno di essere vissuto ed osservato solo da chi riuscirà ad uscire dall’ombra per
andare verso la luce. Quindi, la luce
diventa per l’uomo la chiave
per penetrare nel mistero della vita, la luce dissolve il gelo del cuore,
permettendo così la riconciliazione con la vita.


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